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La Nostra Storia

Un antico borgo e la sua storia

Dove oggi sorge la tenuta di Borgo San Benedetto con il ristorante Casa Masi e la guest house Villa Sestilia, fin dalla fine dell’Ottocento esisteva l’antica fattoria dei bisnonni dell’attuale famiglia Masi, di cui ben più indietro nel tempo si rilevano le sue origini addirittura risalenti al tardo Medioevo. Lasciati guidare a ritroso nel tempo e riscopri l’atmosfera antica di una Toscana autentica e impressa indelebilmente in ogni suo elemento.

Casa Masi

Dove riecheggia la magia delle cose antiche. Se abbandonate sono tristi e sterili, ma se accarezzate con amore restituiscono tutta la loro energia. – Luciana Masi”

Le Case di Borgo San Benedetto costituivano la parte centrale della fattoria dei nostri bisnonni, che conobbe il massimo della espansione tra le due guerre, con la produzione di grano e di tabacco.

I

bisnonni Pietro e Sestilia vivevano nella loro grande casa, oggi Villa Sestilia, con i loro cinque figli, le altre case intorno erano abitate dalle famiglie che lavoravano con loro. In Toscana allora esistevano speciali contratti, chiamati di mezzadria: i proprietari mettevano a disposizione dei mezzadri casa e terreno, il cosiddetto “podere”. I mezzadri in cambio si impegnavano a condurre la casa, il bestiame e i terreni con la diligenza del pater familias e quindi a consegnare ai proprietari la metà dei raccolti. Non esistevano quindi rapporti di lavoro subordinato, la metà del raccolto era da considerarsi come il pagamento di un affitto in natura, e l’indicazione di una percentuale metteva al riparo da eventuali danni atmosferici o altro subiti dai raccolti. Tutto questo contribuiva a un certo benessere, fermo restando la particolare povertà del terreno in questa zona - costituito per la gran parte da argille e tufi privi di humus e quindi adatto a ben poche coltivazioni - e la durezza del lavoro, esclusivamente manuale. Ricca fonte di sostentamento di questo territorio era la cacciagione: la grande abbondanza di cinghiali, daini, lepri, beccacce e fagiani faceva sì che ogni uomo potesse sfamare la propria famiglia, il fucile faceva parte del corredo di ogni giovane maschio. L’abbondanza di cacciagione richiamava qui persone forestiere, personaggi anche famosi, come Renato Fucini, scrittore, amico del nonno, oppure Guglielmo Marconi, si, proprio lui, l’inventore del telegrafo.

Ecco, quindi, la fattoria di San Benedetto diventare non solo centro economico e di sopravvivenza, non solo centro di accoglienza per frati, poverelli e donne in disagio, ma anche luogo d’incontro, di letture di testi letterari, di discussioni politiche, di orazioni e sermoni religiosi tenuti dai frati di San Vivaldo, di grandi libagioni e grandi feste, ogni qualvolta arrivava uno “straniero”.

Il tartufo, dono della natura e grande ricchezza di oggi, era allora apprezzato solo per qualche bella frittata da consumarsi in famiglia, trattato quasi come una banale patata, quasi in mancanza di altro. La Seconda guerra mondiale anche qui, come in tutto il mondo, provocò disastri e grandi cambiamenti. L’antenato Pietro Giglioli morì a causa di una scheggia di bomba nel maggio del 1944. La fattoria venne abbandonata e le case furono prima date in affitto ai nuovi cacciatori che arrivavano dalle nuove città che stavano nascendo intorno alle nuove industrie, poi, alcune furono vendute, altre abbandonate, lasciate vuote, definitivamente. Silenzio, rovi ed ortiche. I terreni furono abbandonati, i boschi lasciati al selvatico, con animali ridotti a pochi esemplari a causa della caccia indiscriminata degli anni 60 e 70. Poi, siamo arrivati noi, ovvero, siamo tornati, e con molta fatica e molto amore abbiamo di nuovo dato suoni e vita a queste case abbandonate.

L’anno chiave da cui comincia la storia di quello che è oggi il borgo è il 1995, con la ristrutturazione della cantina, del frantoio e dei magazzini sovrastanti, oggi Casa Masi e abitazione della famiglia Masi.

L’

edificio allora si presentava in stato di totale abbandono, risultava evidente che si trattava di un complesso di stanze aggiunte, una dopo l’altra, man mano che la fattoria cresceva e abbisognava dunque di maggior spazio per maggiori servizi. Ad un corpo centrale settecentesco, costruito addossato ad una parete in sasso di datazione anteriore, forse unico resto di un mulino medioevale di cui parlano le cronache, si erano aggiunte una cantina ed un ampliamento della stalla ad archetti, una loggia per gli attrezzi, la stanza del fabbro, la stanza del falegname, il frantoio. A parte i lavori di consolidamento strutturale di tutto l’edificio, si è cercato di mantenere la patina del tempo. I muri a faccia vista sono stati pazientemente puliti e stuccati, gli intonaci rinnovati con una malga a calce, non utilizzando nessuna colorazione. Per i pavimenti, si sono recuperati i vecchi mattoni, riposizionati a calce secondo il vecchio disegno “a salto di gatto” ancora intatto sul solaio del magazzino. I mattoni, le travi, i ferri, sono stati pazientemente ripuliti a mano con spazzole di vario tipo e trattati con cera d’api. Non esistevano tarli fortunatamente, i legni erano come cementati dai fuochi e dal fumo che per anni (o secoli?) avevano mantenuto in inverno la temperatura ideale per non far bloccare la fermentazione del vino, oppure per riscaldare gli uomini dopo la caccia ai cinghiali, alle beccacce o al tartufo, o le donne dopo la raccolta delle noci e delle olive. Camini non vi esistevano, i fuochi si accendevano direttamente sui pavimenti sterrati delle stanze. La fattoria era impostata su un equilibrio economico che non permetteva il minimo spreco.

È la magia delle cose antiche, che se abbandonate sono tristi e sterili, ma se accarezzate con amore restituiscono tutta la loro energia.

La Fattoria

"Fattoria" è il nome che ancora oggi mantiene la zona degli alloggi sull’immediato retro del ristorante, dove ogni alloggio di oggi riporta l’anima di quel che era un tempo. Al pianterreno ‘la grande cucina ’, macello, scannatoio di animali selvatici ed allevati, con grandi pentoloni sempre in ebollizione pronti per togliere piume e pellicce, per cuocere verdure e preparare salsicce e salumi, minestroni e arrosti sopraffini. Al primo piano le stanze delle donne, per stirare, ricamare, rammendare ed accudire il priore o il frate che dormiva nell’unica camera con caminetto, che aveva un piccolo bagno e il compito di confessare e comunicare tutti ogni mattina, recitare tutte le orazioni durante il mese di maggio e durante la quaresima, i vespri natalizi e le preghiere di ringraziamento. Al secondo piano le camere delle ragazze ‘a servizio ’, era d’uopo infatti a quei tempi per le giovani donne abbandonare la casa natia dove spesso erano troppe le bocche da sfamare, per stabilirsi altrove, aver da mangiare e dormire in cambio di lavori quotidiani con la speranza magari di trovare un marito. Era questa una piccola ‘corte’ tutta contadina, dove non mancavano avventure e disavventure, scherzi e stornellate …

Ho seminato una campo di carciofi, giovanottino, mi son bell’e nnati , ma carciofi come te non mi son venuti

Ho seminato un campo d’accidenti, se la stagione me li tira avanti ce n’è per te e tutt’ i tu’ parenti.

Il 1997 è stato l’anno in cui venne riacquistato il Podere Ripanova, con la Villa e la Capanna, e il terreno agricolo. Questo podere faceva parte della fattoria di San Benedetto, la vigna intorno era dedicata all’uva per il vin santo, davanti casa un pozzo ricchissimo d’acqua. Nel 2007 si completa finalmente la conformazione attuale di Borgo San Benedetto, è infatti l’anno in cui la casa dei nonni Giglioli, costruita proprio da loro intorno al 1910, diventa Villa Sestilia. Architettura regolare ed elegante, disegnata da un ingegnere di Castelfiorentino forse un po’ troppo rigido, che ha seguito alla lettera le regole del tempo. Scale centrali, quattro grandi stanze al piano terra e quattro al piano superiore. Belle le decorazioni sui muri e sui soffitti con disegni in perfetto stile decò. In questa casa è nata Lorenza, che ha dormito nella camera rosa finché non è andata sposa a Firenze nel 1936. Sua madre, la Sestilia, amava il giardino e se ne era costruito uno piccolo, all’italiana, con siepi di bosso rose e peonie, strappando un pezzettino di terra alle coltivazioni, per aver ombra per riposare e ricamare, per farvi giocare i figli e tutti i nipoti. Non abbiate paura a togliervi le scarpe e camminare a piedi nudi: vi assicuriamo che è il miglior modo per sentirsi in sintonia con la propria esistenza.

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“È la magia delle cose antiche, che se abbandonate sono tristi e sterili, ma se accarezzate con amore restituiscono tutta la loro energia”

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